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Lunedì, 29 Aprile 2024
Calcio

Spal, il derby dura 95 secondi: il Cesena domina, di Ante il gol della bandiera (bianca)

Squadra sbilanciata e i romagnoli fanno quello che vogliono: male Peda, Alfonso incolpevole

Novantacinque secondi. Non minuti, secondi. Tanto dura la Spal nel derby del “ghigno duro, della prestazione migliore, della concentrazione e del coraggio”. Parole di mister Di Carlo alla vigilia eh; qui nessuno si inventa nulla. E invece i biancazzurri al Manuzzi si sciolgono al primo affondo romagnolo. Finisce 3-1, ma poteva finire tanto di più a qualcosina di meno.

Il primo tempo è una sorta di pugnalata continua, che comincia quando il secondo giro di orologio è solo all’inizio e finisce con il santifico duplice fischio del direttore di gara. Pronti via e Donnarumma manda al bar dello stadio Bruscagin, poi crossa per Shpendi che insacca di testa da due passi. Cosa ci facesse da solo tra Peda e Arena lo indagheranno forse Le Iene in una prossima puntata speciale su Italia Uno. Però mettetela in seconda serata, per cortesia, perché potrebbe impressionare i bambini. E non solo.

Intanto a uno, ora, c’è il Cesena che non si accontenta e macina gioco, occasioni e brividi. All’ottavo Varone tatua il proprio destro sulla traversa, poi al 22’ Berti e Corazza non si scambiano le coordinate corrette in un contropiede sovietico da coltello nel burro. Anzi, nello squacquerone, dato il contesto. In mezzo c’è solo il tempo per Maistro che calcia una punizione mezza centrale, che considerarla un’occasione è roba da esperti di scacchi. Ma, d’altronde, la raccontiamo perché la Spal è tutta qui.

La manovra in fase offensiva è torbida come il più classico dei fiumi dell’India. Le maglie in fase difensiva sono più larghe di quelle riposte nell’armadio dell’indimenticato Galeazzi. E così i padroni di casa brindano. Segnano e forse già sognano. Minuto 35, cross basso dalla destra sul quale si avventa ancora Shpendi che insacca il raddoppio incrociando nel sette più lontano.

E qui vien da fare un pensierino: ma se si è così sbilanciati in avanti in una sfida ad armi pari, nel recupero contro la Lucchese che ci dobbiamo aspettare? Che anche Alfonso indossi la 9? No, lo si dice così, perché il secondo tempo conta la bellezza di zero tiri parati di Pisseri e altri due fendenti (semi) mortiferi: il primo, del Van Basten Shpendi viene annullato dalla bandierina alta (con tutti i dubbi del caso, perché siamo in C e il Var è roba da grandi), ma il secondo, di Corazza, è buonissimo da gustare. Proprio come lo squacquerone di prima.

Arena incespica, perde palla al limite dell’area sul pressing di Kargbo e il resto è detto. Tre a niente al 78esimo. E c’è anche da rallegrarsi, perché prima i romagnoli avrebbero potuto condire il match anche con più ingredienti. Poi, quando tutto sembra finito, arriva la fiammata improvvisa. Inutile e quasi beffarda. Siligardi, al 90esimo in pacca, libera Antenucci, che si fa parare il tiro da Pisseri ma che poi, in diagonale di sinistro, trova la rete della bandiera. Quella, però, bianca, per una Spal che si arrende proprio in quel derby che doveva profumare di riscatto. E invece odora, per non dire puzza, di sentenza.

Non è la fine di nulla, ma serve un cambio di rotta immediato, per non fare la fine di sempre. Il Manuzzi era un gioiellino che custodiva un ricordo dolcissimo: un pareggio al 96’ in un’annata poi trionfale. Sono bastati novantacinque secondi perché assumesse i contorni della tragedia. Non greca ma albanese, date le origini del furetto Shpendi. Ma la sostanza non cambia di una virgola, signori.

La serata di Cesena, così, è un crampo allo stomaco. Come quando, per caso, sul cellulare ritrovi il numero dell’ex salvato col cuoricino. Per un attimo tornano alla mente i bei tempi, quelli di Cremonesi; poi però si ripiomba nella realtà, che abbiam già detto essere offuscata da un presente torbido come quel fiume indiano. Uscire dal pantano si deve e si può. Domenica c’è la Recanatese, che classifica alla mano è addirittura più in difficoltà di Peda e compagni. Ma serve giocare in modo diverso. E reggere l’urto per novantacinque: minuti, però, non secondi.

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