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L'intervista

'Pare parecchio Parigi', nel cast anche l'attore ferrarese Giuseppe Gandini

L'attore e regista ha preso parte al nuovo film di Pieraccioni nelle vesti di Tonio

Ha collaborato con registi del calibro di Ettore Scola e attori rinomati e storici, tra i quali Vittorio Gassman e Julia Roberts. Alle spalle ha una carriera ricca di soddisfazioni lunga circa trent'anni tra il teatro e il cinema, sia nelle vesti di regista che di attore. Si tratta dell'attore ferrarese Giuseppe Gandini, che di recente ha preso parte al nuovo film di Leonardo Pieraccioni, 'Pare parecchio Parigi', nei panni del personaggio Tonio. Abbiamo colto l'occasione per saperne di più su questa sua nuova esperienza nel film del regista toscano e per scoprire qualche dettaglio sulla sua carriera fino a questo momento.

Innanzitutto, com’è stato lavorare a fianco di Leonardo Pieraccioni, anche in questo caso in veste di regista-attore?
“Lavorare con lui è stato decisamente piacevole. Pieraccioni è una persona veramente simpatica e divertente, quindi un ottimo collega. Non credevo che sarebbe stato tutto così semplice lavorare assieme a lui, così come con gli altri colleghi. Nonostante sia stato poco sul set, giusto sei giorni, l’esperienza è stata molto gradevole nel complesso”.

Ha avuto abbastanza libertà nell’interpretazione del suo personaggio, Tonio?
“Si è trattato più di una libertà guidata, anche perché il personaggio doveva avere determinate caratteristiche come la parlata toscana e doveva partecipare a scene di gruppo completamente travestito in modo da far credere a Frassica di star attraversando davvero l’Italia per arrivare in Francia. Dunque, è chiaro che si tratta di un ruolo molto ben caratterizzato”.

Il film è liberamente ispirato a una vicenda realmente accaduta nel 1982, ovvero quella dei fratelli Michele e Gianni Bugli, che proprio quell’anno decisero di partire in roulotte con il padre malato alla volta di una Parigi fittizia. A suo parere quanto può essere difficile una reinterpretazione di fatti reali?
“In questo caso entrano in ballo due questioni. Infatti, un conto è trarre un film da una storia vera, ovvero realizzare un biopic. Un altro conto, invece, è reinterpretare in modo fantasioso un evento realmente accaduto. Nella storia originale, ad esempio, i fratelli sono due e non tre, due sorelle e un fratello, come nel caso di questo film. Solitamente, è sufficiente prendere il nucleo della storia reale e metterlo in scena. In questo caso, secondo me, tutto è andato abbastanza liscio: questo vuol dire che la reinterpretazione che hanno voluto dare gli sceneggiatori e Pieraccioni stesso si snoda lungo la direzione del gioco pur mantenendo il nucleo reale della vicenda, che è sicuramente molto forte”.

C’è qualche aneddoto circa le riprese, qualche gag divertente, che può raccontare?
“Si può dire che girare il film è stato già molto divertente in sé; quindi, le gag erano sempre un po’ presenti. Posso dire, però, che girare a Sacrofano durante una delle settimane più calde della storia con un vestito da orso addosso e un pelo alto quasi dieci centimetri è stata davvero una cosa che andava oltre l’immaginabile. Si è scherzato moltissimo per questo fatto. Poi, in generale, devo dire che lo staff è stato sempre molto presente e capace, ed è riuscito a rendere fattibile una scena che altrimenti, con tutto quel caldo, sarebbe stata veramente tosta da girare”.

Lei ha lavorato in film di successo come 'Mangia, prega, ama' oppure 'La cena' per il quale ha vinto il Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista. Com’è stato lavorare assieme ad attori e registi importanti come Ettore Scola e Vittorio Gassman?
“L’esperienza con Scola è stata davvero stupenda. All’epoca avevo trent’anni in meno rispetto a ora ed è stato il primo momento in cui sono riuscito a far parte del cinema di serie a. Gassman era una persona divertentissima, carinissima, con cui ci si potevano passare le ore a parlare senza mai doversi annoiare. Per Scola, invece, avevo già lavorato come assistente volontario; quindi, lo conoscevo e anche nell’occasione di quel film è stata una bellissima esperienza. In generale, mi trovavo in una situazione in cui la qualità certamente non mancava, di altissimo livello, anche grazie a persone importanti con cui intrattengo ancora rapporti come Colangeli. La stessa cosa è avvenuta con Julia Roberts: anche in quella circostanza, seppure sia stato sul set solo sei o sette giorni, ha saputo essere un’eccellente capocomica e compagna di lavoro. Non si è percepita alcuna differenza a livello di status e, soprattutto, non ci sono stati filtri: si era colleghi e sulla stessa barca da che si diceva 'azione' fino a quando si dava lo stop”. 

Cosa ne pensa della commedia italiana oggi, soprattutto in virtù del fatto che ha collaborato con attori che hanno vissuto il vero periodo d’oro della commedia in Italia?
“Penso che, in ogni caso, la commedia italiana sia all’oggi migliore rispetto a quella degli anni Ottanta e Novanta. Questo perché, secondo me, è decisamente più variegata e coraggiosa. Tuttavia, credo che comunque non lo sia abbastanza. La caratteristica della commedia italiana, almeno fino agli anni Ottanta, era quella di raccontare la realtà tramite un cinismo divertente e anche con molta forza. Invece, credo che la commedia di oggi, spesso, racconti la realtà in modo un po’ ammiccante. Ci vorrebbe anche una certa varietà in più nei casting. A ogni modo, come dicevo prima, credo che si tratti comunque di commedie più belle rispetto ai cinepanettoni passati che, tra l’altro, erano diventati l’unica alternativa di commedia in quegli anni. Dovremmo continuare a rifarci alla commedia dell’arte, il nostro vero territorio, e forse meno a quel genere di comicità all’inglese che non ci appartiene”. 

Avendo lavorato a lungo anche nel mondo teatrale, come descriverebbe le differenze tra lo stesso teatro e il cinema, come cambia il modo di recitare e lavorare?
“In termini di recitazione non cambia molto. Il presupposto è che la tipologia di impegno è totalmente diversa: al cinema hai un ruolo che tutti possono vedere e per la cui realizzazione ci vogliono all’incirca dieci giorni; a teatro, invece, sono necessari almeno quaranta giorni di prove per fare circa cinque giorni di repliche. Quindi, nel caso del teatro, si tratta di un lavoro molto più costante e impegnativo. Anche dal punto di vista economico la situazione è differente: spesso capita che qualcuno decida di fare cinema e televisione per potersi permettere di arrivare al teatro. Sostanzialmente, però, almeno per come la vedo, si è sempre un corpo in scena con una voce e tutto il risultato risiede nella propria concentrazione e nella conoscenza del mezzo. È chiaro che chi fa tanto teatro tende a non conoscere quei due o tre aspetti tecnici fondamentali utili per il cinema e viceversa. Viviamo in un’epoca in cui sta accadendo qualcosa che fino a pochi anni fa era impensabile: ci sono attori che partono dal cinema e dalla fiction e poi iniziano a fare teatro. All’epoca chiunque partiva dal teatro per arrivare a qualcos’altro. La conseguenza è che oggi ci sono pochi attori che hanno un’esperienza teatrale, che è sempre molto importante per l’utilizzo del corpo, della voce, per la concentrazione. Con il cinema è tutto diverso e i tempi sono molto più labili in questo senso”.

Lei è partito pur sempre da Ferrara, come si è lanciato nella sua carriera d’attore?
“Ho iniziato partendo da uno spettacolo con amici del liceo. Successivamente sono entrato a far parte del gruppo di Marco Felloni assieme a un gruppo di giovani attori, non direttamente suoi allievi in quanto Felloni era solo il promotore di questi spettacoli. Poi, nel 1993 sono andato a Roma deciso a far diventare questa passione una vera e propria professione. All’epoca si poteva fare questo mestiere anche a livello locale; tuttavia, era una modalità molto complicata. Non che venire a Roma in solitaria sia stato semplice e abbia significato una svolta di carriera. Ho una carriera trentennale alle spalle, tuttavia, non ho fatto ancora il botto, anche se ho ancora l’energia necessaria per arrangiarmi e lottare. Ad ogni modo, il mio percorso è stato abbastanza normale: sono arrivato nella capitale, mi sono iscritto a un’agenzia teatrale, ho conosciuto delle persone e ho iniziato a fare spettacoli teatrali. Nessuna folgorazione è entrata in gioco in questo senso, a differenza di quanti dicono che sono arrivati a fare questo mestiere per una casualità io dico che l’ho sempre voluto fare, almeno da quando ho compiuto quindici anni”.

Quali progetti ha in serbo per il futuro?
“Proprio lo scorso settembre, in realtà, c’è stata la proiezione di un mio film in prima assoluta al Teatro Nuovo, 'Tre storie in bottiglia’, che ha vinto anche due premi in occasione del Ferrara Film Festival. Tuttavia, sono ancora alla ricerca di un distributore per questo film. Visto il successo riscontrato durante la proiezione ferrarese potrebbe essere anche una bella pellicola da far vedere in sala. Poi, di sceneggiature pronte ne ho e non mancano anche se si vedrà. Dopodiché, in veste di attore ho partecipato a un film molto interessante che si chiama 'L’oro del Reno', un film corale di Lorenzo Pullega che però uscirà più avanti”. 
 

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