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Domenica, 28 Aprile 2024
L'intervista

Gherpelli racconta in un libro la vicenda di Cavallina: "Un percorso irripetibile e appassionante"

L'autore ricostruisce la vita del portiere ferrarese che rifiutò di aderire alla Repubblica sociale italiana

Ribattere i palloni insidiosi come allenamento per respingere le avversità della vita. Un addestramento a cui l'estremo difensore ferrarese Renzo Cavallina non si è mai sottratto. Dai tempi luminosi in cui inseguiva il sogno, poi concretizzatosi, di diventare un portiere di calcio, a quelli dolorosi della deportazione. Quando da giovane, poco più che ventenne, sperimentò sulla propria pelle le conseguenze del rifiuto all'adesione alla Repubblica sociale italiana e venne spedito in un campo di concentramento tedesco. Dalla cattura in un rastrellamento al viaggio estenuante in treno diretto allo Stammlager di Luckenwalde, dagli interrogatori sotto minaccia di finire a Mauthausen all'invio a Berlino-Lichterfelde e al trasferimento al Comando di lavoro numero 884 di Berlino-Wittenau, un campo con oltre 1500 prigionieri. Angosce e illusioni, paure e speranze di una vita tanto rocambolesca quanto sconosciuta ai più. Che dopo la fine della guerra e della prigionia, lo riporterà nuovamente sul terreno di gioco di Parma e di altre piazze italiane, senza risparmiargli sul finire degli anni Sessanta l'esperienza di allenatore in Libia, prima dell'avvento di Gheddafi. Un'esistenza, interrotta nel 2001 all'età di 81 anni e segnata dal coraggio e dalla straordinarietà, che il giornalista Lamberto Gherpelli ha ricostruito attraverso minuziose ricerche, restituendola ai lettori con il libro 'La scelta di Cavallina - Dal Tardini allo Stammlager', edito da Urbone Publishing.

Foto dalla copertina del libro 'La scelta di Cavallina' 

Come si è imbattuto nella storia di Renzo Cavallina?
"Sono vicino a questi temi per via di una passione sportiva che mi accompagna da sempre. Il calcio, in un certo senso, è nel mio Dna. Da ragazzo ho giocato nelle giovanili della Reggiana, poi ho scritto più volte di sport. Della vicenda di Cavallina non si sapeva tanto, se non qualche dettaglio attraverso l'Istituto storico della resistenza. Nel 2021, peraltro, venne collocata una pietra d'inciampo davanti allo stadio Tardini di Parma".  

Quanto è stato complesso reperire il materiale sulla sua vita?
"Mettere insieme tutti i singoli eventi della sua vita è stato un percorso irripetibile e appassionante. E' stato senza dubbio un lavoro complesso, ma più andavo avanti e più ero desideroso di una nuova scoperta. Perché quando si sente parlare di quel contesto storico non si è mai dentro al problema fino in fondo, rispetto a quando si finisce per immedesimarsi nel protagonista di una storia".  

Dalle ricerche che ha compiuto cosa è emerso circa il suo legame con Ferrara?
"C'era un forte legame da piccolo con Ferrara. Era nato a Villanova e aveva frequentato la scuola a Ferrara. Un prete di Tresigallo lo aveva introdotto a suonare il piano. In lui, quindi, era presente anche una vena musicale. Era un ragazzo curioso, che amava giocare a calcio e andava spesso ad allenarsi".  

Che tipo di giocatore era?
"Nonostante un'altezza medio-bassa, giocava in porta. Eppure, i riflessi e l'agilità sono qualità che lo mettono presto in mostra. A 17 anni, poi, si trasferisce dal territorio ferrarese per andare a giocare in città di squadre minori. Finché approda a Parma, dove lega la maggior parte della sua carriera. E dove guadagna l'epiteto di 'gatto magico' per le caratteristiche espresse fra i pali". 

Quale ritratto di atleta e di uomo è venuto fuori dalla sua vicenda?
"Premettendo che nella sua storia c'erano molti spazi bianchi che ho cercato di riempire, l'aspetto più importante che ho percepito è stata la sua attitudine a migliorarsi sempre, al di là della situazione in cui si trovava. Anche nel periodo della detenzione, ha giocato nella squadra degli internati. E probabilmente la sua passione sportiva e l'abilità nella musica lo hanno salvato durante la prigionia. Finita la detenzione, come molti ex deportati, non voleva parlare di quel periodo, affidando il ricordo ai diari. Dopo il ritorno al Parma si mise a girare per giocare da Mantova a Perticara, fino a Barcellona Pozzo di Gotto, senza rimpianti sportivi e soprattutto senza risparmiarsi. Come quando andò ad allenare in Libia, da precursore per l'epoca, anticipando le esperienze in panchina di allenatori come Dossena, Bersellini, Scoglio".   
 

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