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Spal, tra errori e speranze: cinque motivi per essere ottimisti (e altrettanti per non esserlo)

Analisi della prima parte di stagione, con un focus sui punti a cui aggrapparsi per la salvezza

Fine anno, tempo di bilanci e buoni propositi. Quelli che si vanno concludendo, per la Spal, sono stati mesi contorti e anche parecchio. Quello che si va ad aprire, da gennaio, è il portone su un futuro tutt’altro che certo. Nelle colonne portanti del monumento biancazzurro vi sono forse più scricchiolii che punti fermi. Quello che è sicuro è l’obiettivo finale: la salvezza. E allora ecco cinque punti per essere ottimisti in vista del girone di ritorno. E altrettanti per esserlo molto meno.

Ottimismo 1: la qualità c’è

Sui nomi non si discute. Che poi alcuni elementi della rosa non girino a meraviglia è un altro discorso. Ma poter contare, in una Serie B, su giocatori del calibro di Dickmann, La Mantia, Moncini, Meccariello, Murgia e Maistro è, come dicono i giovani, tanta roba. E quando la qualità c’è, si parte sempre un passo avanti. Inciso su La Mantia. In molti dicono che non sia il suo anno. Se non avesse ancora segnato, l’analisi sarebbe veritiera. Ma i gol di inizio stagione dicono che il bomber c’è. Il problema è solo che è entrato in un letargo troppo lungo. Serve svegliarlo, è vero, ma attaccanti così non si dimenticano mai di com’è fatta la porta.

Ottimismo 2: i giovani crescono

Il futuro, se certe facce rimarranno anni a Ferrara, è già qui. Di giovani biancazzurri, in prospettiva, se ne iniziano a vedere. Sia nei vari settori ‘under’, sia in prima squadra. Il problema è oggi? Vero. Ma l’energia - e un filo di spensieratezza - di un ventenne a volte può far la differenza. E poi c’è il discorso Nazionale, da non sottovalutare. I ragazzi hanno ambizioni grandi e possono rendere di più in tal senso. Vedasi Varnier: uno stage di due giorni con Mancini ed è stato tra i migliori in campo contro il Pisa.

Ottimismo 3: la classifica è corta

Piena zona playout, verissimo. Ma con sei punti in più, si è addirittura nel calderone dei playoff. Ciò vuol dire che, se si escludono le compagini di testa, il gruppone medio viaggia ad una velocità accettabile. Ovvio che sperare sempre che gli altri perdano non è il massimo della vita (anzi, matematicamente è anche illogico), ma se il treno della B prosegue su tali binari ogni tipo di rimonta è possibile. Anche quella più folle.

Il presidente Joe Tacopina (Foto Spal)

Ottimismo 4: Tacopina non può fallire

Qui, forse, si scade nel banale. Anzi, nel venale. Ma in tempo di crisi, serve essere nudi e crudi. Tacopina ha rilevato una società gloriosa, ha speso soldi e parole, nonché la sua immagine. Lo fa continuamente, appena ne ha l’occasione. E’ dunque immaginabile che accetti una retrocessione senza lottare? Impossibile. C’è da scommettere che farà di tutto, da qui in avanti. Ne va della storia della Spal, ovviamente, ma anche tanto della sua.

Ottimismo 5: Ferrara ama la Spal

Il tifo c’è, sempre e comunque. A volte, anzi, forse è anche troppo. Nel senso che si perdonano errori e risultati tutt’altro che esaltanti. Gli applausi post Spal-Pisa dicono questo: amore incondizionato dei tifosi per la Spal, anche se si chiude un girone d’andata con 20 punti e solo 4 vittorie. Però il tifo è un fattore e trovare comunque la Curva piena ad ogni partita (anche in trasferta) autorizza a credere che i giocatori possano mettere in campo qualcosa in più. Se non altro è una spinta, vediamola così, non certo un freno.

Pessimismo 1: pochi gol

La Spal ha il mal di gol. Lo si è detto e ridetto. Il problema è generale e cronico. Generale perché non segna nessuno: per un La Mantia bloccato e un Moncini (ora fermo) da ben poche esultanze, non c’è comunque un adeguato aiuto dai centrocampisti. E tantomeno dai difensori, ad esclusione, forse, di Meccariello. Se non si segna non si vince, se non si vince non si fanno punti, se non si fanno punti la direzione è una sola. Il problema è anche cronico perché - escludendo la parentesi della Serie A, dove c’erano difese quasi impenetrabili - la Spal ha una moria di reti da anni. Cambiano presidenze, allenatori, staff e giocatori, ma non cambia il risultato. E questo non fa ben sperare per una virata rapida.

La Mantia in azione contro il Palermo (Foto Spal)

Pessimismo 2: manca un leader

La banda di De Rossi non ha un uomo simbolo. In campo lo è stato, in parte, Esposito. Ma già questo pare essere un capitolo chiuso. Manca, di fatto, un personaggio che sappia cosa significhi indossare questa maglia, che ci abbia sudato dentro per varie stagioni, tra momenti felici e tristi. L’ultimo, in tal senso, fu Vicari. Poi il nulla. Tante facce nuove ad ogni sessione di mercato: poca storia nel cuore di lotta ogni domenica. Ci sono maglie e maglie: quella della Spal ha un peso diverso rispetto a molte altre.

Pessimismo 3: il Mazza non è un fortino

Altro problema cronico, almeno dal 2018, quando il ‘nuovo’ Mazza è stato consegnato ai tifosi. A Ferrara si vince poco (nel girone d’andata appena concluso si contano solo tre successi interni e ben cinque ko). Non avere un punto di riferimento del genere, al quale aggrapparsi, è deleterio. Anzi. Paradossalmente, a volte pare che la Spal si esprima meglio lontano da corso Piave, salvo poi ricadere negli stessi errori (anche psicologici) tra le mura amiche. E siccome mezzo campionato va giocato al Mazza, questo aspetto rischia di fare la differenza. In negativo.

Pessimismo 4: il gioco è troppo pulito

De Rossi predica gioco e possesso palla. Concetti apprezzabili. Almeno per i primi 70 minuti, nel caso in cui la partita rimanga in equilibrio. Ma se nell’ultimo quarto d’ora le cose devono essere raddrizzate, serve giocare più sporco. Tradotto? Servono anche lanci lunghi. E invece non si vede nulla di tutto ciò. Salvarsi è un mestiere completamente diverso dal lottare per il vertice. Serve una cattiveria quasi crudele. Serve, a volte, essere brutti. De Rossi è alla prima esperienza di allenatore: deve capire in fretta che un calcione lungo, in determinati momenti, può essere più utile di una triangolazione ben riuscita a centrocampo. Va bene predicare gioco, ma il punto di non ritorno - quando serviranno solo gol e punti - non è poi tanto lontano.

Pessimismo 5: manca l’uomo del novantesimo

Volete un nome? Manca un Pepito Rossi, un Sergio Floccari. Manca insomma quel giocatore che, al di là della condizione fisica, possa entrare a dieci minuti dalla fine e fare la differenza. Perché ha il nome, ha la qualità, ha la freddezza del campione. Quella che manca ai giovani nei momenti cruciali. E c’è di più. Un uomo del genere costringerebbe gli avversari ad uno sforzo di attenzione ulteriore (cosa non semplice quando il cronometro supera il minuto 80). Rossi, con tre gol, l’anno passato ha letteralmente salvato la Spal. Floccari, qualche stagione indietro, l’ha trascinata alla Serie A. Trovare un terzo eroe simile, seppur con qualche capello bianco, toglierebbe non poche castagne dal fuoco.

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