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Giovedì, 18 Aprile 2024
Calcio

Spal in testacoda, il Frosinone vince non per Caso: Mazza sempre tabù, biancazzurri ultimi da soli

Bene Pomini, lampi di Pepito, Tripaldelli è disastroso. Prati magia, ma il Var cancella tutto

Beati gli ultimi che saranno i primi. Mah, prendiamola pur così, anche se crederci adesso è roba per tipi tosti. E, a giudicare dalle prestazioni della Spal, dentro la casacca biancazzurra di gente da battaglia non se ne vede da giorni immemori. Il testacoda – prima contro ultima – è servito: la Spal regge ancora una volta una ventina di minuti, poi sbanda, esce di strada e si arena nel pantano di un fondo classifica ora più che ufficiale.

Timbro papale in ceralacca e la busta con l’esito del match è spedito in anticipo. “Non sono queste le partite da vincere”, direbbe qualcuno. Vero, in teoria. Ma in un universo parallelo, novanta minuti contro un Frosinone che cinque giorni fa si è insacchettato 4 pesche in casa dal Parma non sono roba da Tom Cruise e la sua cara vecchia ‘mission impossible’. Ma quell’universo parallelo la Nasa pare non averlo ancora scoperto e allora bisogna accontentarsi di questa Terra, che racconta di un colare a picco verticale. Spal ultima in solitaria. Ora ci siamo.

Più in basso di così c’è solo da scavare, strillava Daniele Silvestri. Ma con questa squadra, prepariamoci a tirar fuori la vanga. La sfida contro i ciociari racconta di poco coraggio, un pizzico di sfortuna, poca (pochissima) qualità tecnica e il solito Mazza campo da raccolta punti per gli altri. Minuto 24, cross di Mazzitelli e Lucioni da due passi incorna lo 0-1. Tutto ok? Sì, se non consideriamo una dormita colossale di Tripaldelli che invece di intervenire si apre in una sorta di spaccata volante. Aprendo a sua volta la testa dello stesso Lucioni. Il tutto mentre Zanellato è a terra malconcio da qualcosa come un quarto d’ora. Ma il fairplay non è qualità di chi deve vincere un torneo.

Intanto, eccola la zavorra. Il macigno che la Spal ama agganciarsi in vita ogni qualvolta le cose stanno andando. Non diciamo bene, ma almeno vanno. Si è lì, sullo 0-0, più o meno tranquilli. Niente: errore difensivo, svantaggio, zavorra, affondo. Già i biancazzurri viaggiano sì e no su una zattera sgangherata, se poi iniziano a tirarsi secchiate d’acqua da soli, addio proprio. Al 31esimo sempre Lucioni sfiora il raddoppio, poi accade l’incredibile. L’imponderabile. L’imprevisto del Monopoli.

Minuto 33: su un calcio d’angolo, Arena gira al volo, la palla viene deviata e si impenna, Prati si libra in aria come fosse una piuma leggera leggera e in rovesciata segna il pareggio. Apriti cielo. La zavorra è gettata a mare. Ora si veleggia verso la rimonta. Macchè. Nel calcio esiste il fuorigioco, un meccanismo un po’ machiavellico, che con la giusta spruzzata di Var può cancellare anche i sorrisi più splendenti. La dicano, sta cosa, a chi si ingegna per architettare le pubblicità dei dentifrici.

E così, l’esultanza diventa muso lungo. Roba da Michael Schumacher. O da tapiro, se preferite. Insomma, non potrebbe andare peggio. O forse sì, potrebbe piovere. E infatti durante l’intervallo viene giù lo scroscio, quelli proprio da apriti cielo. Poi tutto torna nella norma: meteo e partita. E dopo un Sampirisi che fomenta una mezza rissa a bordo campo, Caso fa il Pinturicchio e raddoppia. Proprio lui, quello della serpentina ubriacante all’andata, punisce anche in corso Piave. Il suo destro all’incrocio è una lama che trafigge cuore e speranze di riacciuffare l’inafferrabile essenza dei punti. Filosofia spicciola per un risultato mai in discussione.

Che solo perché qualcuno ha piazzato un palo più in qua che in là non diventa ancor più netto, identico a quello di quattro giorni fa. Nella notte del Mazza si contano, così, solo due spunti positivi: un Pomini sicuro tra i pali e il ritorno al prato verde di Pepito Rossi. Ce ne sarebbe un terzo, ovvero una curva che incita anche a Serie C praticamente in tasca. Ma il canto libero di ultras mai domi viene sovrastato dagli altoparlanti dello stadio che strillano le note di ‘Cenere’ di Lazza. Cenere, già. Quella sparsa a terra dopo che tutto ha smesso di bruciare. Anche e soprattutto la fiammella della speranza di vedere quegli ultimi magari non primi, ma per lo meno ancora vivi.

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