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Spal garibaldina a Pisa, vittoria d'addio alla Serie B: cala il sipario sull'annus horribilis

Celia e Moncini segnano, si rivede Murgia, male Tunjov. Ma il futuro è tutto da scrivere

E’ il non-sens di una stagione, trascinatasi stancamente per mesi, che si appiglia, caparbia, all’ultimo lembo del sipario, mentre questo si chiude mestamente. La Spal vince la partita d’addio alla categoria cadetta - e chissà dove tornerà, visti i dubbi amletici del presidente, ora presente -, inutile quanto un infradito hawaiano nella melma del parco urbano.

Ma attenzione. Il Boss americano, quello inchitarrato e imbufalito, in tre ore ha preso per mano Ferrara e l’ha portata a inchiostrare le copertine dei giornali di mezzo mondo con le istantanee di un evento da racconto ai nipotini. L’altro boss, autonominatosi tale, sempre a stelle e strisce, se ne torna invece mestamente da Pisa con tre punti che hanno la consistenza nulla di una snervante nebbia autunnale.

E non si parli di rimpianti, perché quelli dell’Arena Garibaldi sono novanta minuti che non hanno senso di esistere (siamo sempre lì) in nessun universo conosciuto. E’ una partita di Serie B che la Spal gioca da squadra di Serie C. E’ l’interrogazione all’ultimo giorno di scuola, quando è da decidere se si deve essere bocciati con la media del 4 o del 5. E’ l’ultimo pasto di un condannato a morte.

Però il campionato va onorato, almeno quello. Così i biancazzurri - per l’occasione indiamantati - accettano la sfida, che inizia con l’attesa della contemporaneità con gli altri campi e con i fumogeni che assomigliano, papali papali, a quella nebbia tanto inconsistente e tanto ferrarese di cui sopra. I primi venti minuti sono a tinte casalinghe, con Barba e Tramoni che impegnano un Pomini diligentemente operaio.

Il match è frizzantino, ma le bollicine rimangono intrappolate nella bottiglia. A scuotere il fiasco, perché la qualità è quella che è, è Rabbi che al minuto 37 centra la traversa di testa, sugli sviluppi di un corner. Cinque giri di lancette e Celia stende un diagonale mancino che trafigge Nicolas e le speranze toscane di acciuffare l’ultimo vagone del Pendolino direzione playoff.

Già perché la ripresa si apre con la solita manfrina del minuto esatto d’avvio (altro non-sens) e con un Calabresi che si attorciglia su sé stesso quasi fosse un maglione in lavatrice: solo che resta fuori una manica e il Var punisce la svista da zdora distratta con la massima punizione. Moncini ringrazia e allunga. E mentre dalla sala video si divertono a controllare la qualunque, la giostra dei cambi inizia vorticosamente a mietere le proprie vittime.

Minuto 59, Tunjov abbandona il palcoscenico. Il ragazzo non incide nemmeno quando la rappresentazione non pretende un filo di pathos e in una macchina che, magia delle magie, pare addirittura aver oliato, per una sera, tutti gli ingranaggi: chi dovrà costruire la squadra l’anno venturo è pregato di tociare il pennino nel calamaio e prendere appunti. Nel frattempo, il Pisa ha uno spasmo di vita e al 68’ accorcia le distanze.

Su un’imbucata centrale, Gliozzi fa il velo favorendo l’inserimento di Tramoni che, marcato mollemente da Varnier, spiazza Pomini. E’ un gol più inutile della partita in sé. Ma i novanta minuti rischiano di scrivere una pagina di storia più folle di quella di ventiquattro ore prima quando Zanellato a momenti sigilla la serata con il proprio timbro papale. Ma non succede. Sarebbe stato materiale da universo parallelo, questo sì, o forse addirittura da Area 51.

Finisce dunque 1-2, con la Spal comunque penultima che accoglie il Perugia nella discesa agli inferi. Un abbraccio mortifero di facce che, forse, non rivedremo più. Finisce come nel 69 dopo Cristo nell’antica Roma: l’anno dei quattro imperatori, di lotte intestine e della guerra civile. A Ferrara è stato l’anno dei tre (quasi, dai) allenatori, di lotte intestine (prima Venturato, poi Lupo) e di una guerra civile, ancora sanguinante, tra società e tifosi. Date le premesse, c’è da chiedersi, da domani, quale corso prenderà questa storia.

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