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Venerdì, 19 Aprile 2024
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I Mondiali, la Nazionale, la Spal: il giornalista Furio Zara racconta la sua passione per il calcio

A colloquio con l'autore di libri dedicati a storie sportive, dal calciomercato degli anni Ottanta al trentennale delle notti magiche

Sugli scaffali delle librerie italiane, trova spazio un genere che progressivamente ha finito per catturare l'interesse del pubblico, non necessariamente di addetti ai lavori. Quello della letteratura sportiva è un filone che pesca storie seminate fra i campi di calcio e non solo, e prova a restituirle ai lettori da prospettive insolite. Dalle biografie dei grandi nomi dello sport alle vicende meno note ma non meno originali che si sviluppano nella cosiddetta provincia, non manca il materiale per la narrazione. E fra i giornalisti sportivi che hanno dato un corposo contributo al genere, c'è anche il nome di Furio Zara. Firma della Gazzetta dello sport e opinionista della popolare trasmissione televisiva 'La domenica sportiva', nel curriculum del cronista veneto figurano diverse esperienze in quotidiani nazionali, senza tralasciare una serie di libri e alcuni riconoscimenti come il premio giornalistico Coni-Ussi Under 35 nel 2004, e il premio Beppe Viola. E di calcio, di Spal e di Nazionale abbiamo parlato proprio con lui.    

Lei abita a Ferrara da diversi anni. Come è vissuta la passione calcistica in una cosiddetta realtà di provincia?
"Con un amore sorprendente che affonda le sue radici nel passato e che qui riesce a trovare una trasversalità generazionale. Io abito a Ferrara da circa una quindicina d'anni, e ho tanti amici che frequentano la Curva Ovest e che mi raccontano della loro passione per la Spal. Un sentimento che coinvolge tifosi di tutte le età". 

Che cosa l'ha colpita della storica promozione in serie A della Spal nella stagione 2016/17?
"Il giorno in cui è giunta la matematica certezza della promozione, io lavoravo fuori città. Ma le immagini che mi sono arrivate hanno restituito una grande partecipazione di tutti i cittadini. Un momento di passione condivisa alimentato dalle due promozioni consecutive, e atteso probabilmente da mezzo secolo. Mi è rimasta impressa proprio quell'atmosfera di festa".  

C'è qualcosa nell'attuale presidenza Tacopina che le ricorda quel clima?
"C'è da premettere che nel calcio tutto si consuma in fretta, e quello che avviene in un determinato periodo diventa quasi un'era geologica precedente quando trascorrono appena cinque anni. Detto questo, l'ambizione del progetto del presidente Joe Tacopina, che peraltro ha raggiunto l'obiettivo della promozione nella massima serie ai tempi del Venezia, sicuramente va verso quella direzione. E la scelta di Daniele De Rossi in panchina è funzionale a questo progetto". 

Il suo primo libro 'Bidoni - L'incubo' raccontava la rapida parabola calante di promesse calcistiche approdate dall'estero e clamorosamente non mantenute. Quel mondo di rimandi agli anni Ottanta, dai tratti quasi surreali, oggi sarebbe riproducibile?
"No. Perché nel frattempo sono arrivati i social network, internet e la tecnologia. E ognuno ha molti più strumenti per informarsi sull'effettivo valore di un calciatore proveniente da un campionato estero lontano. E poi perché quel libro, scritto nel 2006, si focalizzava sul 1980, anno della storica riapertura delle frontiere e della possibilità per ogni club di ingaggiare un solo giocatore non italiano. I contratti non erano così brevi come oggi, veniva concesso più tempo di 'adattamento' ai calciatori prima di esprimere giudizi, e così le storie di quegli atleti s'imprimevano più facilmente nella memoria collettiva".      

Anche il tema del suo libro 'L'Abatino, il Pupone e altri fenomeni: tutto il calcio soprannome per soprannome' sembra denso di suggestioni decisamente retrò. E' difficile che fra calciatori e comunità dove vivono si torni a un rapporto senza filtro?
"E' proprio questo il punto. Una volta il rapporto fra calciatore e la comunità cittadina nella quale si trovava a vivere, di volta in volta, nel corso della sua carriera, era di estrema vicinanza e condivisione. E perfino un dettaglio come un soprannome era qualcosa di quasi esclusivo e legato alla relazione con quel territorio. Adesso, con i calciatori perennemente in tv e nei social, l'illusione è che siano più vicini ai loro tifosi, ma in realtà c'è una distanza enorme".

Un paio di anni fa, in occasione del trentennale, è uscito il suo libro 'Le nostre notti magiche - Italia 90, il Mondiale indimenticabile'. Perché quel campionato del mondo è ancora vivo nella memoria sportiva di tanti?
"La cosa straordinaria di quel Mondiale, se ci si pensa, è stata la celebrazione di un'impresa fallita. Perché ha saputo intercettare lo spirito di un tempo, e ha regalato un sogno. Dall'esplosione improvvisa di Totò Schillaci al talento di Roberto Baggio, fino all'abitudine di fare insieme l'ola negli stadi. Ho scritto quel libro parlando con diversi tifosi, che a distanza di diversi anni ancora ricordano l'atmosfera di quelle notti magiche".   

Quale è la prima immagine che le viene in mente se pensa a quella competizione?
"Quel fotogramma di Totò Schillaci con gli occhi sgranati". 

A proposito di Mondiale, che cosa manca alla Nazionale per dare continuità a un ciclo?
"Manca il ciclo. Il commissario tecnico Roberto Mancini è stato bravo ad aprirlo con il percorso della conquista degli Europei. Eppure, al di là dei singoli episodi e delle coincidenze che hanno negato la qualificazione ai Mondiali, va sottolineato che è la seconda volta consecutiva che accade all'Italia. Il fascino che quella maglia azzurra ancora trasmette rimane tale, soprattutto per i tifosi. Probabilmente per i calciatori non è più così, in questo periodo di scarso rendimento". 

Ultima domanda. Il poster di calcio che era appeso sulla parete della sua stanza, da piccolo?
"Era quello che raffigurava l'urlo di Marco Tardelli, con la maglia della Nazionale ai Mondiali del 1982, uscito dal Guerin Sportivo. Per quanto riguarda la fede sportiva, io sono cresciuto a Padova ed è forte il mio legame con la squadra della città, ma in generale sono appassionato del bel calcio e mi piace sentirmi parte di coloro che si definiscono mendicanti della bellezza".    
 

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