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Giorno della Memoria

Dalle Olimpiadi ad Auschwitz, gli archivi della Palestra Ginnastica Ferrara raccontano la storia di Gino Ravenna

La tragica vicenda del fratello del podestà Renzo Ravenna è stata ricostruita dal consigliere dell'associazione Mirko Rimessi

Dopo l'impegno di questi anni in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, la Palestra Ginnastica Ferrara Asd rimarca la visione dello sport come veicolo di sensibilizzazione, aprendo il proprio archivio storico con una vicenda legata al Giorno della Memoria.

A raccontarla è Mirko Rimessi, consigliere della Palestra Ginnastica Ferrara Asd, che ha ricordato che  "anche la nostra associazione ha dovuto fare i conti con questo capitolo nero della storia dell'uomo. Non quella più famosa, ma a buon fine, che coinvolse il nostro medagliato olimpico Orlando Polmonari, deportato in Germania come punizione per avere dato uno schiaffo a un ufficiale tedesco, o quella finita tragicamente relativa al presidente Emilio Arlotti, fucilato nell'Eccidio del Castello Estense, ma la triste vicenda che ha coinvolto un altro olimpionico della Pgf, Gino Ravenna",

"Gino Ravenna – ha continuato Rimessi – fu infatti uno dei 29 campioni della Palestra Ginnastica Ferrara incaricati di rappresentare l'Italia nel concorso generale di ginnastica artistica a squadre ai Giochi Olimpici di Londra nel 1908. La passione sportiva caratterizzò tutta la vita di Gino che, rientrato dalla prima guerra mondiale, si dedicò poi al commercio".

La famiglia Ravenna era molto nota a Ferrara, uno dei 5 fratelli di Gino, Renzo, fu podestà fascista della città estense dal 1926 al 1938. Il primo podestà ebreo in Italia, come racconta anche Scurati nell'ultimo volume della trilogia 'M', in quella convinta e tragica adesione al fascismo di esponenti della comunità ebraica fino all'introduzione delle leggi razziali in Italia. 

"Ma ancora più di quelle - ha proseguito Rimessi - la svolta anche per i Ravenna ci fu con l'8 settembre del '43.  Dapprima Gino si rifugiò nella frazione di Albarea, ma l'arresto del figlio Eugenio, detto Gegio, l'8  ottobre fece precipitare gli eventi. La famiglia tentò la fuga in Svizzera ma, arrestati a Domodossola, finirono prima nel carcere di via Piangipane, poi al Tempio di via Mazzini, trasformato in campo di concentramento provvisorio per pochi giorni, in attesa che il nuovo rastrellamento degli ebrei ferraresi si tramutasse nel trasferimento a Fossoli".

“La permanenza nel campo modenese fu breve e la storia diventa tristemente uguale a quella di altre migliaia di persone - ha spiegato il consigliere -  il viaggio, durato quattro giorni sul convoglio per Auschwitz e gli eventi che portarono alla morte di quasi tutta la famiglia di Gino. Si salvò infatti solo il figlio Gegio, che sarà uno dei soli cinque ebrei ferraresi sopravvissuti al campo di sterminio, grazie alla liberazione russa del 27 gennaio 1945".

E' da Eugenio quindi che si apprendono gli ultimi giorni del padre matricola numero 174.541. Gino si era salvato dalla prima 'selezione' ed era riuscito a rimanere accanto al figlio, aveva lavorato per un mese e mezzo circa, fino a quando le forze lo avevano assistito. Per alcuni giorni rimase nella baracca stremato, ma al terzo giorno Gegio non lo trovò più. Un deportato che parlava italiano gli riferì che da poco Gino era stato prelevato. Prima di lasciare la baracca gli aveva raccomandato di dire al figlio che lo salutava e "di tener duro": quel terzo giorno il camino aveva ricominciato a fumare.

"Eugenio Ravenna farà ritorno a Ferrara il 15 settembre 1945. Qui la sua vicenda ispirerà il cugino scrittore Giorgio Bassani, che lo trasforma in Geo Josz nel suo racconto 'Una lapide in via Mazzini', inserendolo nelle sue 'Cinque storie ferraresi'", ha concluso Rimessi che, nel riportare la vicenda, si è avalso della documentazione storica fornita dal nipote Michele Ravenna, da varie altre fonti ed in particolare dal libro 'La Famiglia Ravenna: 1943-1945' di Paolo Ravenna -

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