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L'intervista

L'attore Stefano Muroni: "Portiamo sul grande schermo i traumi psichici della prima guerra mondiale"

Le riprese del film 'Il soldato senza nome' diretto da Claudio Ripalti sono iniziate da una settimana

Dalle pagine dei libri di storia che raccontano i conflitti militari attraverso una successione cronologica degli eventi, a quelle della letteratura che restituiscono un lato più introspettivo di chi combatte al fronte o attende in trincea, la prima guerra mondiale mostra in modalità differente il volto più sanguinoso dell'inizio del Novecento. Eppure, esiste anche un approccio di esplorazione meno conosciuto, legato prevalentente alla branca medica, che si è soffermato sui danni alla mente di quei ragazzi chiamati a imbracciare un'arma e a indossare un'uniforme. Ed è proprio lavorando su questo più ristretto campo d'indagine, che l'attore e produttore Stefano Muroni ha sviluppato una prima idea di sceneggiatura per il suo prossimo lungometraggio. Dalla scrittura alla produzione il passo è in fase di compimento. E le riprese del film 'Il soldato senza nome' sono cominciate da una settimana. Un film diretto dal regista Claudio Ripalti (nella foto in basso), prodotto da Controluce, società di Stefano Muroni e Valeria Luzi, e sostenuto da Ministero della Cultura, Emilia-Romagna film commission, 'Ferrara La Città del Cinema', Comune di Ferrara, Emilbanca, Istituto di Storia contemporanea di Ferrara, e Lascito Niccolini. Del contenuto di questa storia, destinata ad arrivare sul grande schermo, abbiamo parlato con Stefano Muroni.

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Quanto è stata importante la ricerca storica, dietro il film?
"Molto importante. Le vicende umane di migliaia di giovani soldati, mandati a combattere alla prima guerra mondiale e tornati con disturbi psichici e disagi psicologici, rappresentano un tema sul quale non esiste una corposa letteratura scientifica. Nella mia ricerca, mi sono imbattuto in un volume dell'autrice Bruna Bianchi sull'argomento della nevrosi di guerra. Un fenomeno che coinvolse numerosi militari fra il 1915 e il 1918". 

Quali fonti sono state consultate?
Principalmente, gli archivi degli ospedali psichiatrici che hanno ospitato tutte queste persone. Ragazzi che, oltre a essere traumatizzati da un'esperienza terribile, finivano anche per essere emarginati dalla società. Quando, in realtà, erano vittime di quello che più avanti sarà definito disturbo da stess post-traumatico".

Chi è Ferruccio Mambrin, il personaggio che interpreta?
"E' un soldato immaginario con un nome che richiama un'imprecisata provenienza del nord dell'Italia. L'intenzione è di rappresentare le migliaia di giovani che, durante la Grande guerra, tornano nelle retrovie. Il fenomeno dei disertori, o di coloro che simulano un malessere psichico per sfuggire all'orrore non è infatti così raro. Di fronte a un trauma così grande, o alla sua minaccia, la mente tende a fuggire verso un altrove".

Come avete scelto di raccontare la guerra?
"Come un evento che rimane sullo sfondo. Vorremmo la si cogliesse attraverso la guerra psicologica che pervade la mente dei reduci, dal loro silenzio. Dai visi muti di quei ragazzi che, piano piano, il medico Gaetano Boschi riesce a fare parlare".       

Che cosa emerge della figura, realmente esistita, di Gaetano Boschi?
"E' stato un medico di rilievo nella branca della neuropsichiatria. Negli anni della prima guerra mondiale, lavorò all'Ospedale militare neurologico a Villa del Seminario, a Ferrara, in quella struttura che è l'attuale 'Città del ragazzo'. Un luogo dove peraltro venne ricoverato l'artista Giorgio de Chirico. E si spese in prima persona per cercare di reinserire nella società i soldati con quelle ferite della mente".

Chi interpreta il suo ruolo nel film?
"L'attore Davide Paganini. Il suo personaggio cerca di restituire un approccio nuovo nei confronti dei disturbi psichiatrici derivanti dalla guerra. Dove piccoli fattori come il riposo, lo svago, attività semplici come i lavori di falegnameria, il gioco delle bocce, le passeggiate in pianura contribuivano a timidi ma signicativi progressi".

Chi altro è presente nel cast?
"Ci sono quindici allievi della Scuola d'arte cinematografica 'Florestano Vancini' di Ferrara, diretta da Alessio Di Clemente. Un'occasione importante per loro, oltre a un modo per testimoniare che si può lavorore in questo settore, valorizzando il territorio".

 In quali luoghi di Ferrara arriveranno le telecamere per le riprese?
"Le riprese sono cominciate all'ex Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Poi proseguiremo nel Ferrarese tra Villa della Mensa a Copparo, Bosco Mesola, palazzo Roverella e alcune vie del centro storico della città estense. Oltre ai luoghi funzionali all'ambientazione, un altro elemento importante è l'abbigliamento dell'epoca. Il costumista Fabio Cicolani, per esempio, ha creato appositamente una casacca che indosso, una sua interpretazione delle antiche cinture di forza".

Che cosa significa, oggi, portare sul grande schermo una storia come questa?
"Ho pensato al film quando non erano ancora arrivate la pandemia, la crisi economica e la guerra. E a chi ne parlavo suscitava l'impressione di una storia lontana, seppellita nel passato. Oggi sembra particolarmente attuale. Come universale è il messaggio che la guerra non può far parte dell'essere umano, e non ha nulla di purificatrice". 

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